Oggi pomeriggio la Facoltà di Scienze Politiche di Roma “La Sapienza” ricorda Aldo Moro, come suo docente e come politico. La prima parte sarà dedicata alle testimonianze dei suoi studenti ed assistenti di allora: aspetto qualificante ed intenso della vita dello statista. La seconda verterà sull’ultimo grande discorso di Moro, quello ai suoi gruppi parlamentari del 28 febbraio 1978. Un discorso per convincere una platea in partenza piuttosto perplessa, se non contraria, al nuovo salto di qualità che si stava prospettando, l’ingresso del Pci nella maggioranza.
Perché quel testo? Perché in esso sono racchiuse tre verità di fondo dell’agire politico.
La prima è l’affermazione della politica anzitutto come responsabilità verso l’intero Paese (un modo alto per intendere il divieto di mandato imperativo) e non come testimonianza intesa a rassicurare solo il proprio elettorale, a blandirlo con rigidità propagandistiche.
La seconda è una verità che noi forse siamo portati a vedere in modo più forte oggi, con la crescita dell’Unione europea, nella quale i Governi nazionali sono sì responsabili di fronte ai loro Parlamenti e alle loro opinioni pubbliche, ma anche rispetto ai Governi che condividono con noi questo spazio politico. Questa è sempre stata la condizione della rinata democrazia italiana, solida anche grazie ai suoi legami europei ed atlantici. Il percorso verso la legittimazione piena del Partito Comunista che in quella legislatura, dopo aver accettato a costruzione europea ora aveva riconosciuto anche la giustezza della scelta atlantica era in atto, ma doveva scontare ancora riserve non del tutto ingiustificate, specie considerando la continuità del nome e del simbolo. Dice Moro: “Sappiamo che c'è in gioco un delicatissimo tema di politica estera, che sfioro appena, nel senso che vi sono posizioni che non sono solo nostre ma che tengono conto del giudizio di altri Paesi, di altre opinioni pubbliche con le quali siamo collegati, quindi dati di fatto obiettivi… e sappiamo che sono in gioco, in presenza di una insufficiente esperienza, quel pluralismo, quella libertà che riteniamo siano le cose più importanti del nostro patrimonio ideale che vogliamo ad ogni costo preservare”.
C’è infine una riflessione sui modelli di democrazia. Quello dell’alternanza va considerato superiore, ma la sua praticabilità è un obiettivo che può essere raggiunto solo dopo il pieno riconoscimento dell’invarianza delle collocazioni europea ed atlantica: “Sento parlare di opposizione, del gioco della maggioranza e dell'opposizione. Sono in linea di principio pienamente d'accordo: nel nostro sistema che è il migliore, anche se limitato ad un esiguo numero di Stati privilegiati. Ma immaginate cosa accadrebbe in Italia, in questo momento storico, se fosse condotta fino in fondo la logica della opposizione, da chiunque essa fosse condotta, da noi o da altri, se questo Paese dalla passionalità intensa e dalle strutture fragili, fosse messo ogni giorno alla prova di una opposizione condotta fino in fondo?”.
Moro non vide questa fase successiva e forse la sua assenza ha contribuito a renderla più difficile. Tuttavia per essa lavorò a fondo, pagando anche con la sua vita.