Da Campi al ristorante stellato di Copenaghen, Spedicato: «All'estero più fiducia e opportunità per i giovani che hanno voglia di fare»

Da Campi al ristorante stellato di Copenaghen, Spedicato: «All'estero più fiducia e opportunità per i giovani che hanno voglia di fare»
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Giovedì 13 Aprile 2023, 13:30 - Ultimo aggiornamento: 13:34

Da cameriere di una pizzeria in un paese del Salento a vice restaurant manager del ristorante numero uno al mondo secondo la classifica The World's 50 Best Restaurant 2022, il Geranium di Copenaghen, in Danimarca. Nella storia di Mattia Spedicato, 32enne originario di Campi Salentina, c'è tutto quanto servirebbe al turismo e al mondo della ristorazione pugliese e italiana per risolvere il problema personale, al quale è dedicato uno dei talk di oggi del FoodExp in corso a Lecce e intitolato "Il personale che non c'è: ricerca, selezione e fidelizzazione delle risorse umane".

«Sono arrivato al Geranium dopo due anni in Scozia e con l'idea di fare uno stage per assorbire il più possibile dalla cultura scandinava che, nel 2015, era in procinto di esplodere» racconta Spedicato. «L'obiettivo era quello di tornare in Italia e lavorare da Bros. Poi le cose sono andate diversamente: dopo una settimana di stage, mi hanno chiesto di rimanere. E da allora sono passati otto anni».


Spedicato la ministra italiana del Turismo, Daniela Santanché, ha dichiarato pochi giorni fa che quella del cameriere o comunque le professioni attinenti la ristorazione - eccezion fatta per gli chef, ormai vere e proprie rockstar - hanno poco appeal. Lei ha cominciato da cameriere: è così?
«In Italia è verissimo, in Scandinavia è diverso.

Un lavoro simile ha orari lunghi e salari non sempre adeguati ed è un problema globale, ma fra il Belpaese e la Danimarca - per esempio - sono i presupposti di un impiego nella ristorazione a essere diversi. Basti dire che a Copenaghen si lavora una media di 45 ore settimanali spalmate su 3 o 4 giorni, durante le quali vengono anche svolte - fra le altre cose - attività di formazione con l'obiettivo di migliorare il servizio. Il salario di un cameriere neoassunto oscilla fra i 2.200 e i 2.500 euro. Anche per questo è un lavoro culturalmente più "accettato". Un italiano guadagna meno e macina anche 70 o 80 ore settimanali di lavoro esclusivamente fra sala e cucina».


In molti Paesi europei, Danimarca compresa, iniziare a fare il cameriere consente peraltro di avere una importante progressione di carriera che qui non è possibile. Una progressione come la sua. Pesa anche questo?
«Assolutamente sì. A prescindere dal tipo di ristorazione, in Danimarca e in altri Paesi c'è una maggiore attenzione alla creazione di un ambiente di lavoro sano: si punta a stare bene per lavorare meglio. E i datori di lavoro investono sui giovani di talento per creare team di livello, affiatati. A me è successo esattamente questo: mai mi sarei aspettato di gestire un ristorante come il Geranium a 32 anni. Ai giovani vengono offerte simili occasioni e responsabilità per consentire loro di dimostrare se hanno o meno le qualità per sostenerle. In Italia una cosa del genere non accadrebbe mai, non c'è questo genere di fiducia».


In Italia esiste anche l'etichetta del "giovane fannullone", che non ha voglia di faticare e insegue guadagni facili. C'è del vero o lo ritiene un pregiudizio?
«Parzialmente sono d'accordo, sì. Tanti giovani italiani che vengono a fare le prove al ristorante chiedono prima di conoscere orari e stipendio, anziché preoccuparsi di dimostrare ciò che sanno fare. È un problema di prospettiva: se lo stipendio, e non la realizzazione personale, è il punto d'arrivo, allora c'è qualcosa di sbagliato. Ho un fratello di 20 anni. Quando ha finito gli studi mi ha raggiunto a Copenaghen e ha già un lavoro fisso, un salario adeguato e può guardare al futuro con fiducia. Se si impara a fare il cameriere non si resta mai senza lavoro».


Sempre Santanché ha suggerito di detassare il lavoro notturno e nei festivi per dare maggiore appeal a lavori impegnativi come quelli nel campo del turismo e della ristorazione. Che cosa ne pensa?
«L'attrattività dell'offerta lavorativa subirebbe un sicuro miglioramento dall'introduzione delle "mance forzate", che purtroppo in Italia non ci sono. Sarebbero un aiuto agli imprenditori nel pagamento degli stipendi e non solo. La mancia agevola il riconoscimento di un ruolo e di un servizio personalizzato, donando appeal e visibilità a chi ha svolto quel servizio al meglio delle sue possibilità. Si aprirebbe un altro mondo».


Ha mai pensato di tornare in Italia?
«Questo Paese non è pronto ad accogliere me e chi, come me, ha trovato fuori la sua strada. Prima di partire ho cercato lavoro come bagnino e le paghe erano inaccettabili, davvero irrisorie. Passai la stagione a Cortina, facendo il cameriere mattina e sera e il bagnino il pomeriggio. Amo il mio Paese, nel 2020 ho persino aperto una piccola società di importazione di vini italiani. Ma so che quando tornerò in Italia non sarà cambiato nulla, sarà sempre la stessa. Eppure tutto quello di cui abbiamo bisogno lo abbiamo a disposizione: un turismo enogastronomico di altissimo livello, talenti di altissimo livello. Potenzialità che, però, andrebbero sbloccate». Prima o poi.
P.Anc.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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