Simona Filoni (Tribunale per i minori): «Questi ragazzi non hanno più sogni, tornino a sporcarsi le mani di terra»

Simona Filoni (Tribunale per i minori): «Questi ragazzi non hanno più sogni, tornino a sporcarsi le mani di terra»
Simona Filoni (Tribunale per i minori): «Questi ragazzi non hanno più sogni, tornino a sporcarsi le mani di terra»
di Alessio PIGNATELLI
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Mercoledì 22 Novembre 2023, 07:30

«Ne ho viste tante di generazioni ma adesso la gioventù è triste perché non sogna e se non sogni non speri, ti abbatti, non conosci la lotta e la resistenza». È l'amarezza contenuta nelle parole di chi ha una profonda conoscenza delle devianze che riguardano i minori e dei meandri più nascosti in cui sprofondano per trasformarsi in vittime o carnefici. Per il Procuratore Capo del Tribunale per i minorenni di Lecce, Simona Filoni, serve un ritorno alla normalità prima che la situazione degeneri.
Dottoressa, partiamo dalle novità sul Parental control: possono essere d'aiuto?
«È una domanda che impone una brevissima riflessione. Il minore si forgia e si forma grazie ai genitori con l'educazione che significa rispetto dell'altro, delle regole, della vita altrui. Il decreto Caivano e ancor prima il Codice rosso hanno un significato: quando la legge deve agire d'urgenza significa che siamo in emergenza, vuol dire che la situazione è sfuggita di mano. Il Parental control è uno strumento che viene utilizzato appunto in emergenza perché i minori sono disancorati dalla realtà. C'è uno scollamento per l'uso distorto dei social, vivono una dimensione che non è reale. Questo controllo serve, è una delle cure, uno dei rimedi ma quello che manca è proprio la dimensione dei minori per i social».
In che senso?
«Non distinguono virtuale da reale. E allora quando ricevono un rifiuto, una delusione, un "no", reagiscono con autolesionismo o violenza contro altri. A monte allora ci vogliono genitori forti che insegnino il valore del sì e soprattutto l'importanza del no. Se i bambini crescono in una situazione ovattata, ci si può inventare qualsiasi cosa a livello tecnologico ma poi i problemi restano».
Dal suo osservatorio, quali sono le problematiche principali sul territorio?
«Non c'è una rete, non c'è una protezione, i ragazzi con un clic accedono a tutto. Anche in una banale ricerca scolastica si nascondono delle insidie. La problematica si allarga perché quel clic poi genera un effetto onda. Penso per esempio alle ragazzine che hanno scelto di farsi scattare determinate foto: si può scatenare uno tsunami con un tocco sullo smartphone. Abbiamo anche constatato l'effetto emulazione rispetto alle baby gang milanesi o sudamericane. Non c'è più la consapevolezza di cosa è reato e poi c'è il senso di impunità. Si abbassa sempre più la soglia in cui iniziano a commettere reati gravi».
Allora è tutto da buttare?
«No, assolutamente. Ci sono anche esempi virtuosi. Noi abbiamo avuto un ragazzino senegalese che veniva maltrattato in casa, veniva vessato, era obbligato a imparare il Corano e a non andare a scuola. Proprio grazie a internet si è informato su chi contattare per un aiuto, è risalito a noi e si è salvato. Ma, ripeto, senza conoscenza e senza consapevolezza, i ragazzini sono esposti a rischi enormi. Il sistema famiglia-scuola deve riprendere a camminare insieme».
Chi è più a rischio?
«I bambini più piccoli sono vittime di adescamento online. I reati che riscontriamo con più frequenza sono diffamazione in rete e revenge porn. Da internet gli adolescenti apprendono nozioni su armi, istigazione alla violenza. Ed è fondamentale prevenire. Le cito un aneddoto. Qualche anno fa andò in onda la serie coreana "Squid game" imperniata sulla violenza e sul desiderio di soldi sopra ogni cosa: in provincia di Lecce avevano organizzato una serata in una discoteca proprio su quel tema, con invito ai più piccoli in prima serata e ai più grandi nella seconda parte. Siamo intervenuti preventivamente e la serata non si è tenuta. Questi ragazzi non sanno distinguere, sono fragili. Bisogna riportarli alla terra, a fare sport, a vedersi nelle piazze, a uscire, occorre sollecitare comuni e servizi sociali».
Dottoressa, non è anacronistico questo auspicio?
«Non deve esserlo perché è una speranza che parla di sentimenti e socialità.

L'esempio è quello delle indagini: mi hanno sempre insegnato che quando un'indagine non porta a nessun risultato bisogna ripartire dalle fondamenta, da zero. Se questi ragazzi non hanno più interesse per una partita di calcio o per un bagno a mare, è finita. Non li possiamo abbandonare col telefonino in mano. Preferisco le mani sporche di terra anziché atrofizzate con uno smartphone».

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