Nel mondo meno fumatori, ma in Italia sono in aumento

Nel mondo meno fumatori, ma in Italia sono in aumento
di Valentina Arcovio
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Venerdì 1 Giugno 2018, 00:25 - Ultimo aggiornamento: 2 Giugno, 15:53
Il fumo uccide. Dovrebbe essere un concetto ormai assodato. Ma nel mondo ci sono più di un miliardo di fumatori che lo ignorano, consapevolmente o inconsapevolmente. Sono meno di quanti erano 15 anni fa, certo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), che ieri ha celebrato il «No tobacco day», sono stati fatti progressi: se nel 2000 i fumatori erano il 27% della popolazione mondiale, nel 2016 si è passati al 20%. Ma con un bilancio di 7 milioni di morti all’anno, quanto gli abitanti dell’intera Hong Kong, siamo ben lontani dall’obiettivo di un un mondo «libero» dal fumo. 

IN CONTROTENDENZA
Il nostro paese è tra quelli in cui sono stati fatti meno progressi. In Italia, secondo le cifre rese note dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss), da due anni a questa parte i fumatori sono addirittura in aumento, dopo una sostanziale stagnazione negli anni precedenti. Gli italiani «schiavi» delle bionde sono 12,2 milioni, il 27,7% (+3,8 punti percentuali) degli uomini e il 19,2% delle donne (-1,6 punti). 
Ecco perché stando ai calcoli di un recente studio sostenuto dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro, nel nostro paese si attendono per il 2018 circa 33.700 morti per cancro al polmone, una patologia per cui il fumo rappresenta il principale fattore di rischio e che è quindi destinata a raggiungere il primo posto tra i tumori con il più alto tasso di mortalità.

A preoccupare maggiormente il nostro paese è il numero dei fumatori tra i giovanissimi. Infatti, tra i 14 e i 17 anni un giovane italiano su 10 fuma abitualmente e metà è venuto comunque in contatto con il tabacco. «La prima sigaretta è alle scuole secondarie superiori - riporta l’Iss - ma alcuni iniziano a 9 o 10 anni alle elementari e oltre la metà dei fumatori abituali tra 14 e 17 anni fuma anche cannabis». Tra i 25 e i 44 anni la prevalenza più alta di fumatori si trova tra i maschi (35,7). Mentre nella fascia d’età 45-64 anni la prevalenza più alta è tra le donne (26,2). Oltre i 65 anni troviamo le prevalenze più basse in entrambi i sessi. Si fumano in media 12,3 sigarette al giorno. «E’ urgente potenziare la prevenzione tra i giovanissimi - sottolineato Walter Ricciardi, presidente Iss - ed educarli a corretti stili di vita per evitare dipendenze pericolose».

Il problema del precoce inizio all’abitudine al fumo sembra essere comune a molti paesi del mondo. Stando ai dati dell’Oms, infatti, nel mondo oltre 24 milioni di ragazzi tra 13 e 15 anni fumano, tra cui 17 milioni di ragazzi e 7 milioni di ragazze. Questo renderà difficile raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’Oms. Infatti, anche se oltre metà dei paesi membri ha ridotto il numero di fumatori, solo uno su otto riuscirà a ridurli del 30% entro il 2025. Sarà praticamente impossibile nei paesi a medio e basso reddito, dove vive oltre l’80% dei fumatori e dove il numero di fumatori cala più lentamente. 

Il paese dove si fuma di più è la Cina con oltre 307 milioni di tabagisti, seguita dall’India. «Noi sappiamo quali politiche e azioni possono aumentare il tasso di persone che smettono di fumare e prevenire l’inizio dell’abitudine al fumo», afferma Svetlana Axelrod dell’Oms. E aggiunge: «Dobbiamo superare gli ostacoli e implementare misure come la tassazione, lo stop alla pubblicità e l’adozione dei pacchetti ‘generici’. La nostra migliore chance di successo è attraverso l’unità globale e una forte azione multisettoriale contro l’industria del tabacco».

LA SPERANZA
Nel nostro paese una mano importante potrebbe arrivare dai medici di medicina generale, almeno stando a uno studio del loro principale sindacato, la Fimmg, secondo cui il 75% del campione dice di registrare «sempre-spesso» il dato relativo al consumo di tabacco dei propri assistiti sulla cartella clinica ambulatoriale. «L’indagine evidenzia - sottolinea Paolo Misericordia, responsabile del Centro Studi della Fimmg - come, ancora una volta, i medici di medicina generale siano efficaci sentinelle rispetto a fenomeni connessi a fattori di rischio comportamentali».
 
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