«La psicologia - dice Barbanti - distingue due tipi di amore, quello romantico esistente tra due amanti e quello materno esistente nei legami tra parenti. Nel primo si attiva l'ipotalamo, nell'altro le aree visive ma in entrambi i casi si innescano nel cervello piacere e memoria». Ma soprattutto «l'amore è uno stato di follia necessario, perché amare deve voler dire rischiare. Madre natura ci ha fornito la capacità di dissociare i grandi sensori della nostra testa che sono la corteccia cerebrale frontale e quella temporale e silenziare l'amigdala, ghiandola del cervello che gestisce le emozioni e in particolar modo la paura. Quindi tutto diventa senza timore - aggiunge il neurologo - L'amore altro non è che l'immobilità felice della persona che ama. Per questo si dice amare alla follià, per questa pulsione misteriosa che nasce nella profondità del cervello».
Cosa accade nella fase dell'innamoramento? «Si scatena una tempesta di sostanze chimiche (in parte paragonabile a quello che accade con l'assunzione di droghe) liberate dall'ipotalamo - spiega Barbanti - la dopamina si impenna giustificando l'euforia, la serotonina si riduce spiegando l'ossessività, il fattore di crescita nervosa (nerve grow factor) aumenta incrementando il romanticismo, così come l'ossitocina e la vasopressina».
Esiste chi non sa amare? «Tecnicamente no. C'è chi non sa mostrare l'amore. Il cucciolo umano è l'unico che nasce con un cervello ancora in formazione ed è la vicinanza con la mamma e il papà nei primi periodi di vita a spiegare come si interagisce con il prossimo. Chi non vive questa situazione, vedi morte precoce dei genitori o drammi infantili, non sviluppa questa capacità. Che però - avverte Barbanti - può essere appresa quando incontri una persona speciale che ti cambia. E non è retorica. È neurobiologia. Perché siamo fatti per costruire ponti», conclude l'esperto.