A Bari un'esposizione di Alessi sul packaging

A Bari un'esposizione di Alessi sul packaging
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Venerdì 3 Novembre 2023, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 06:53

Dall’idea al prodotto commerciale, dalla veste grafica al desiderio. Attraverso venti oggetti iconici del mercato la mostra «Saperi visibili: un secolo di packaging del made in Italy», che si aprirà domani alle 18 allo Spazio Murat di Bari, è un racconto di progetti, brevetti e prodotti che appartengono al nostro tempo, a partire dai primi del ‘900 sino ad oggi.
Nata da un’idea di Chiara Alessi, Ettore Chiurazzi, Giusy Ottonelli, Maria Laterza e Graziano Bianco, la mostra inaugura la seconda edizione della Biennale dei Racconti d’Impresa, ed è promossa dal Club delle imprese per la Cultura di Confindustria Bari e Bat.

L'appuntamento


A curare l’esposizione e raccontarne lo spirito è un’esperta della materia, Chiara Alessi, esperta di design, divulgatrice amata sui social ma anche nipote d’arte, visto che i due bisnonni erano Alfonso Bialetti e Giovanni Alessi. 
La mostra, che è visitabile ad ingresso libero fino al 28 novembre, dal martedì al sabato, dalle 10 alle 20 è ha l’obiettivo di raccontare l’impresa italiana attraverso i suoi oggetti e le loro storie: per un’indagine su come siano stati concepiti, spesso insieme alle novità tecnologiche e allo studio dei nuovi materiali intervenuti nei processi, e come hanno attraversato il secolo scorso, al fine di raccontare cosa vi sia dietro il fare impresa. Senza dimenticare l’evoluzione sociale e culturale degli italiani, la storia della comunicazione e le ricadute sugli atteggiamenti di consumo.
Lungo un allestimento realizzato con scaffali industriali utili a richiamare il contesto d’impresa, si dipanano tra oggetti, racconti e materiali pubblicitari, i packaging di Bacio Perugina, le plastiche Pirelli, la lampada Parentesi di Flos progettata da Castiglioni e Manzoni, le confezioni di pasta Barilla, le sorpresine del Mulino Bianco, la bottiglia del Campari Soda di Fortunato Depero, la Coppa del Nonno di Motta disegnata da Gregorietti, Il packaging dei panettoni Galup e delle Pastiglie Leone, la confezione del Bialcol di Giovanni Sacchi, i vasi da contenitori riciclati di Enzo Mari per Alessi, il packaging dei dischi «La voce del padrone» di Bruno Munari, la rete da cantiere Gigan (oggi Dragon), il packaging su misura ideato da Panotec, il kit di programmazione Arduino di Massimo Banzi. Tutte invenzioni italiane fatte da imprese del nostro Paese diventate celebri in tutto il mondo, che testimoniano la creatività dell’impresa e dei designer italiani.
«Saperi visibili» vivrà anche di tre eventi collaterali, sempre nello Spazio Murat: l’11 novembre in un talk con Nicoletta Picchio (direttrice della collana «Bellissima», ed. Luiss University Press) e Giovanna Mancini (autrice del libro «Icone. Mito, storie e personaggi del design italiano»), insieme al critico d’arte Marilena Di Tursi; il 17 novembre con un laboratorio (in collaborazione con Spazio Murat) e il 28 novembre con l’incontro dal titolo «Il museo e la comunità operosa», in cui l’esperto di turismo e marketing territoriale Antonio Prota dialogherà con Anna Gennari (Museo del primitivo) ed Ettore Ruggiero (fondatore della rete «Make It in Puglia»).

Le dichiarazioni


«L’esigenza di dare un involucro alle cose è nata con le cose stesse - spiega Chiara Alessi -: proteggerle, scambiarle, trasportarle, a volte anche nasconderle, conservarle. A cui poi, col tempo, si è aggiunta un’altra funzione: raccontarle. Parliamo di saperi, al plurale, perché il packaging non riguarda soltanto il processo produttivo, la tecnologia sempre più sofisticata con cui è concepito, ma anche il design, ergonomico, funzionale, efficiente, accattivante; e non riguarda soltanto la comunicazione: identificare, informare, sintetizzare; ma anche la pubblicità: rendere memorizzabile, distinguibile, desiderabile. Perché il packaging è un messaggio, quasi sempre, il primo che riceviamo dalle cose. Ed è un esercizio di equilibrismo tra creatività, funzionalità e sostenibilità, dove nessun aspetto dovrebbe prevalere sull’altro, a discapito dell’altro: dove il cosiddetto effetto wow non dovrebbe dimenticare l’impatto ambientale; l’adattabilità a diversi canali di vendita non dovrebbe incidere sulla sostenibilità economica, e quindi su di noi; dove la funzionalità non dovrebbe generare trascuratezza nella cura di ogni singolo dettaglio». 
Non è un caso infatti che si tratti di oggetti estremamente longevi. «A pensarci bene - prosegue la curatrice - : non ci sono così tanti progetti che rispondano a questi requisiti, che considerino cioè il packaging come un elemento stesso del prodotto in esso contenuto, che ne giustifichino la nascita, ne guidino il senso, ne sfruttino le possibilità e infine, oggi più che mai, ne governino lo smaltimento. In questa mostra ne abbiamo isolati una ventina - dalla bottiglietta del Campari alle sorpresine del Mulino Bianco, dalla fondina per il panettone alla tanica per la benzina, dalla Coppa del Nonno alla Razione K dei soldati - scelti con questo doppio criterio: da una parte raccontare il packaging nella sua accezione più ampia possibile (fino ad arrivare a immaginare che persino la rete ovoidale arancione che custodisce i cantieri italiani, sia un involucro essa stessa, e insieme un arredo urbano effimero e temporaneo); dall’altra raccontare un pezzo di storia del nostro Paese, degli italiani e delle italiane, attraverso gli involucri.
La maggior parte dei progetti che compaiono in questa mostra sono in salute ancora oggi, dopo decenni di vita e con minime modifiche rispetto al passato, quindi non sempre è stato semplice o scontato farsi guidare da un percorso cronologico, ma è pur vero che senza contestualizzare il periodo storico in cui questi saperi sono nati si perderebbe molto del loro senso.

Al tempo stesso, viste adesso, una dopo l’altra, queste forme e i messaggi che veicolano più o meno esplicitamente, ci dicono finalmente tantissimo anche sull’evoluzione della nostra stessa storia di consumatori e consumatrici, e, perché no, eventualmente anche sull’involuzione: perché questo è, infine, l’ultimo dei saperi coinvolti nel packaging, forse il primo che dovremmo citare, cioè il nostro, quello con cui noi sappiamo vedere quello che sta intorno ai prodotti che consumiamo, ciò che sta oltre e prima delle cose».

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